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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 agosto 1991
 
di Michael Klier, con Laura Tonke, Miroslav Baka, Stefan Cammann, Suzanne von Borsody, Gustaw Barwicki (Germania, 1991)
In un campo di rifugiati di Berlino Ovest, la tragedia dell'arrangiarsi di una quindicenne e di sua madre rifugiate dall'Est: una vicenda ispirata autobiograficamente alla sorella del regista, nato a Karlovy Vari, le figlie della quale fuggono dall'Ungheria per inseguire a Berlino il sogno occidentale.

Non è solo perché il protagonista è quello già mitico di NON UCCIDERE (Miroslav Baka) che si pensa al grande polacco: la città e la sua crudele assenza sono le stesse, la luce verdognola, gli sfondi rubati sui casermoni mai terminati di periferia, la zona benestante, la metropolitana, la stazione, le vetrine del consumo visitate da estranei, doppiamente profughi.

Klier (1983, DER RIESE, Truffaut che lo invita sul set de LA PEAU DOUCE per uno stage, l'ammirazione per Losey, Straub, Rossellini; poi, 6 anni dopo UBERALL IST ES BESSER, con il giovane sconosciuto Baka che presto avremo modo di conoscere) non può certo possedere l'essenzialità che faceva della Varsavia di Kieslowski una delle ragioni del capolavoro: ma nella sua Berlino c'è la medesima volontà di affondare il coltello nella piaga che è ormai nostra, il futuro che non si schiude a questi giovani protagonisti (dolorosa, prosciugata Laura Tonke, sul viso della quale un sorriso diventa una conquista commovente), la rassegnata corruzione di un'indifferenza che confina con l'impotenza di una società senza domani.

Separati da veloci dissolvenze nel buio, Klier spacca la sua osservazione con una essenzialità che non si fa mai procedimento: le porte, i reticolati introducono in un mondo nel quale un sole impotente non appare quasi mai. Klier non nasconde di aver pensato a GERMANIA ANNO ZERO: ma, rispetto al film di Rossellini, qui le macerie mentali hanno preso il posto di quelle materiali: i tempi morti del film, quella sua erranza asciutta e stringata fra le rovine postmoderne di una civiltà che s'interroga sul suo futuro, servono a dipingerci quelle interne di Elfie. Personaggio mostrato senza alcun cedimento melodrammatico, e del quale s'indovina tutta la lacerazione interna. Quindici anni sono pochi, e terribilmente troppi, per devastare una vita: la ricostruzione di quella di Elfie la s'indovina piena d'immeritate fatiche e di pene per far fronte a quello che ostiniamo a chiamare il Sogno occidentale.


   Il film in Internet (Google)

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